Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti
La leggenda dei monti naviganti è un libro che mi fu regalato molto tempo addietro dal mio amico più caro che, consapevole del mio amore per la montagna, pensava di fare un dono gradito. E pensava benissimo. L'opera del giornalista de La Repubblica Paolo Rumiz è la sintesi di due viaggi, compiuti prima nelle Alpi e quindi negli Appennini, rispettivamente nel 2003 e nel 2006, due viaggi alla riscoperta della montagna; un mondo che, se non verrà invertita la tendenza, sembra destinato secondo Rumiz ad un triste declino.
Il viaggio raccontato ne La leggenda dei monti naviganti è un viaggio lento per capire cosa è oggi la montagna e che fotografa la situazione attuale in cui versa il popolo che la abita e la rende viva. È un viaggio che parte dall'oggi per raccontare il ieri dei monti italiani (e non solo). È un viaggio che diventa intervista: la montagna da sempre ha il grande potere di raccontare storie. E Rumiz le fissa nel suo libro di viaggio, partendo dalle persone semplici. Dal frate al pastore, dal rifugista alla guida, dal contadino all'oste, per arrivare dunque a grandi personaggi che la montagna l'hanno raccontata, vissuta e da essa ne hanno tratto ispirazione: Mario Rigoni Stern, Mauro Corona, Ryszard Kapuściński, Walter Bonatti, Francesco Guccini, Vinicio Capossela. L'intervista diventa testimonianza, la testimonianza diventa esperienza e memoria di una realtà in continua evoluzione, che "naviga", che non vive ma sopravvive.
La penna di Rumiz, colorata, tagliente, polemica, da esperto giornalista, si scaglia apertamente contro tutto ciò che oggi costituisce la distruzione della montagna, come le dighe (le righe dedicate alla tragedia del Vajont sono tra le migliori del libro) e le gallerie, la cementificazione in generale. Promuove invece tutto ciò che costituisce il recupero del paesaggio e di una cultura che sta svanendo, la riscoperta degli elementi della montagna. Anche la lentezza del viaggio e dei trasporti, perché è nella lentezza che si guadagna il tempo migliore. Il monito alla classe politica è ruggente in ogni capitolo, il messaggio è chiaro: le montagne sono vive e vogliono vivere, ma in basso, purtroppo, si sono dimenticati dell'asse portante dell'Italia. La leggenda dei monti naviganti lascia l'amaro in bocca, perché la montagna italiana è un patrimonio immenso che non viene utilizzato consapevolmente, ma solo sfruttato.
Ma l'opera di Rumiz non è solo una immagine di amarezza. Il suo racconto è pervaso da suggestioni sognanti, da nomi di luoghi pittoreschi ("finché ci saranno i nomi, pensai, ci saranno i luoghi"). Con le sue parole ho viaggiato con la mente in valli a me conosciute e in località di cui avevo mai sentito parlare, ho immaginato la conformazione dei pendii alpini, ho ricostruito negli occhi la tortuosità delle ardue vallate appenniniche ("non c'è nessun mistero in fondo a un rettilineo"), ho vagabondato col pensiero vedendomi con il mio zaino in spalla su arcigni passi alpini, ho fantasticato viaggi goderecci "on the road" nelle più sconosciute montagne d'Italia. Il mio taccuino dei posti che vorrei visitare si arricchisce ancora: Calà del Sasso, Aachenpass, la Valle dei Ratti, Piuro, la Vallemaggia, la Val Borbera, la Pietra di Bismantova, Sant'Angelo in Vado, Cagli, le Gole di Caramanico, Calascio, Pacentro, l'Aspromonte, Capo Sud. O di posti che vorrei rivedere: il Passo dello Stelvio, il trenino rosso del Bernina, Macugnaga, i grandi passi alpini francesi.
Senza dubbio alcuno, La leggenda dei monti naviganti è il libro per chi vuole conoscere uno dei volti meno conosciuti dell'Italia, quello della montagna. Per riscoprire on the road terre così geograficamente vicine eppure così tremendamente lontane.
Bis bald!
Stefano
Giudizio: 10/10 ■■■■■■■■■■
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