domenica 30 ottobre 2016

Bücher: La morte sospesa

"Cominciai a scendere a saltelli, reggendomi su una gamba sola. Procedevo in diagonale, per aggirare uno sperone roccioso che vedevo direttamente sotto di me. Più in là, il pendio si faceva uniforme e costante, senza interruzioni fino al ghiacciaio. Mi voltai a guardare il seracco dal quale ero precipitato. Era ormai un ricordo vago. Poi, con una fitta improvvisa di disperazione, vidi la corda che pendeva al suo margine estremo. Quel filo di colore sul ghiaccio mi tolse ogni possibilità di sperare: Simon era sceso di là, aveva visto il crepaccio ed era andato via. Non a cercare aiuto. No. Perché era convinto che io fossi morto."
Joe Simpson, La morte sospesa


La montagna è da decenni luogo di storie drammatiche. Ogni anno, da quando l'uomo ha iniziato a scalare le montagne, da quando l'uomo cerca di spostare l'asticella dei limiti sempre un po' più in là, la montagna presenta il suo salatissimo conto. Un conto di vite spezzate, di tragedie, di disperazione. Quella che Joe Simpson ha vissuto in prima persona sulle Ande e che ha voluto fissare ne La morte sospesa, è una storia pazzesca, e fra tutte quelle che letto (vedi K2 - La veritàFrêney 1961La salita del Cervino) è per me senza dubbio quella che più di ogni altra va a scavare nella psiche dell'alpinista.
Ande peruviane, Siula Grande. Joe Simpson e il compagno di cordata Simon Yates hanno appena scalato questa vetta per l'inviolata parete ovest (andate a vedervi le immagini sulla pagina di Wikipedia, è piuttosto impressionante). Nella complicata discesa, Simpson scivola malamente su un dirupo e atterrando malamente. Il ginocchio della gamba destra è in brandelli; il maltempo incombe e i viveri sono quasi finiti, il ghiacciaio alla base della montagna è ancora lontano. Yates lega due corde per farne una di quasi cento metri, per calare Simpson. La manovra è difficile perché la corda annodata non passa nel discensore. Tutto procede con difficoltà, ma procede. Poi, inavvertitamente, Yates cala Simpson oltre una sporgenza, nel vuoto. Yates non può più trattenere Simpson legato a sé perché il suo peso lo trascinerebbe sempre più verso il basso: l'ultima decisione è quella di tagliare la fune e abbandonare al suo destino il compagno di corda. Simpson cade in un crepaccio e percorrendolo in discesa trova una via di uscita in un pendio che lo riporta sul ghiacciaio. E poi... e poi basta, non continuo nel racconto, altrimenti sarebbe uno spoiler. Il finale, come si può immaginare, è felice. Se così non fosse, Simpson non avrebbe mai scritto la sua testimonianza.
La morte sospesa è un libro come pochi nel contesto della letteratura di montagna. Perché non è un racconto in terza persona, bensì una narrazione in prima persona di un sopravvissuto (proprio il caso di dirlo). La vicenda di Simpson è un viaggio nella disperazione che regna nella mente di un uomo ad un millimetro del baratro, del crepaccio e della morte. A scrivere è direttamente l'anima di un uomo in preda al tormento. Il dolore fisico, la paura di una morte lenta, la lotta per non cedere ad un destino ormai segnato. Sono parole di angoscia, sono parole sincere.
E poi, ancora più interessante, Simpson raccoglie ne La morte sospesa i pensieri di Yates, diviso tra la necessità di sopravvivere e il rimorso per aver abbandonato il compagno, in uno stato mentale meno doloroso fisicamente ma molto più feroce psicologicamente. Lettura di pathos continuo, duecento pagine e oltre di dramma totale, ma dal liberatorio happy end.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

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