Nel pronunciare queste parole, in verità fin troppo grosse, la sua voce aveva assunto i toni un po'sognanti ed ambigui, non falsi!, dell'apostolo. E in certo modo è stato un apostolo Gelindo Bordin, degno in tutto del nome che si ritrova, incolpevole, fin dal giorno in cui è stato portato alla fonte battesimale. Nel sognante presepe della mia infanzia, Gelindo era il pastore che con un agnello in spalla stava più vicino di tutti alla santa capanna di Betlemme. Nella meno sognante realtà della mia vecchiezza, Gelindo Bordin ha il grande merito di toglier fuori i creduli italiani dal mito di Dorando Pietri, eroe e martire. Data, e pienamente concessa, la nostra penuria di eroi, dalla quale consegue una grande e insaziabile fame di gesta purché siano, fasulle e no, risultava da tempo insopportabile (almeno allo storico di sport) la parte fatta assumere dal fornaio carpigiano Dorando Pietri, mancato Fidippide della corsa più lunga di Olimpia. Era molto piaciuta ai retori la sua fine rovinosa, la sua indubitabile parte di affamato ereditario, condannato dalla storia a non vincere mai, e come tale degno di essere compatito. Gli italiani non si erano accorti di venir compassionati come quei morti di fame che tutti conoscevano in quegli anni dannati (1908): e dell'altrui oltraggiosa pietà si proclamavano fieri come si addice ai goffi masochisti che sanno essere quasi sempre, lacrime al ciglio e moccichino in mano. Subito dopo, Dorando Pietri è andato a correre nei circhi d'America, come un qualsiasi accattone del gesto atletico, ed ha faticosamente messo insieme i soldini per aprire una panetteria a Sanremo, dove fa meno freddo che in Padania. La cronaca allora ha abbandonato l'uomo, che peraltro correva male, ad anca bassa, come il povero cristo che era, ed ha iscritto il suo nome, alquanto perifrastico passivo (Dorando!), addirittura nella storia più pretenziosa. Adesso di quelle povere fasullaggini alla stricnina potremo fare a meno. Gelindo Bordin è balzato di slancio alla ribalta della grande atletica moderna. La patria, non solo sportiva, molto gli deve. Finito è il tempo delle umiliazioni. Di Pietri è piena purtroppo la storia dell'Olimpiade italiana. Nonché drogarsi e intossicarsi in gara, i nostri poveri puzzapiedi lo facevano anzi tempo divorando bistecche colossali. Per conseguenza, durante l'allenamento a spese della Fidal crescevano di peso e, mortificati, ci davano dentro a ciabattare finché, letteralmente avvelenati dall'acido lattico, si presentavano sovrallenati in gara. L'elenco dei ritirati è mortificante. Solo da qualche tempo si andava meglio sulle gare lunghe perché la parte del misero puzzapiedi tradizionale è stata assunta da gente più civile, che non sveniva all'idea di fiutare e trinciare una bistecca. Gelindo Bordin si è nutrito per la gara ingerendo utili carboidrati sotto forma di comunissimi spaghetti. La scienza è dunque intervenuta per qualcosa, come è vero che la sola ignoranza porta ai collassi, ai pietismi, alle mitiche fandonie.
Un bacio sulla terra del trionfo (fonte: gb579.com) |
Quando Gelindo Bordin ha attaccato l'ultimo avversario africano, la sua corsa era perfettamente circolare, come comandano le norme dell'assoluta correttezza stilistica. A vincere per l'Italia e per noi era un atleta coraggioso sì ma soprattutto ben preparato e stilisticamente inappuntabile. Di lui il vecchio cronista si è sentito senza enfasi orgoglioso; a lui si dirà grato insin che il sole risplenderà sulle miserie umane."
di Gianni Brera, La Repubblica, 4 ottobre 1988
Sul traguardo olimpico della maratona di Seul 1988, è medaglia d'oro per l'Italia! |
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