mercoledì 10 agosto 2016

10 agosto 1964 - Nell'inferno delle Grandes Jorasses

"Delle tre grandi Nord, la Jorasses ha la prerogativa di non lasciare mai scorgere allo scalatore un qualsiasi segno di vita, anche solo all'orizzonte. Lassù non arriva altro suono che quello della bufera, delle valanghe o delle folgori."
Walter Bonatti, I giorni grandi

La Mer de Glace ai piedi delle Grandes Jorasses (fonte: summitpost.org)

Bonatti e la nord della punta Whymper delle Grandes Jorasses: una salita voluta, desiderata, agognata, a tal punto da presentarsi alla sua base, risalendo per ben sette volte in tre anni il sottostante Ghiacciaio di Leschaux. È una salita dalle difficoltà estreme, al limite della sopportazione umana, in cui niente attorno può dare conforto, perché attorno allo scalatore, si possono sentire solamente la presenza della roccia e del ghiaccio. Su questa parete dalla singolare verticalità, anche il tepore dei raggi del sole non si fa quasi mai sentire.

Walter Bonatti (ferito alla fronte) e Michel Vaucher (fonte: wikipedia.org)

Dopo i sette tentativi in solitaria non andati a buon fine, Bonatti ritenta la salita con Michel Vaucher, fortissimo scalatore ginevrino, uno dei pochi alpinisti – assieme a Mauri e Mazeaud con i quali Bonatti si è fidato ciecamente nel lasciar loro la responsabilità del ruolo di primo di cordata. È il 6 agosto del 1964 quando Bonatti e Vaucher si ripresentano di fronte alla impressionante parete nord delle Grandes Jorasses. Con loro, c'è una quantità non meno sconcertante di attrezzatura per provare l'ascesa: viveri per cinque giorni, cinquanta chiodi e trenta moschettoni. Per le grandi imprese servono grandi quantità di materiale.

Grandes Jorasses (fonte: summitpost.org)

La salita inizia in piena notte fonda, in quanto l'attacco della parete è il naturale ricettacolo delle pietre scaricate dalle Grandes Jorasses. L'inizio dell'ascesa si rivela ottimo, ma ben presto salire sulla parete mai calcata prima dall'uomo diventerà un'impresa ai confini massimi delle capacità di sopravvivenza. Un'impresa di quelle che stuzzicano Bonatti, un'impresa di quelle che ha reso grande Bonatti. Una serie di problemi – che per i comuni mortali sarebbe meglio definire drammatici eventi – affligge la salita. Si inizia già dal primo giorno, quando un masso in caduta distrugge una delle due corde tranciandola in cinque spezzoni; annodati, non potranno che creare problemi durante lo scorrimento nei moschettoni. Ma è durante il primo bivacco che succede l'imprevisto che si rivelerà decisivo nel prosieguo dell'ascensione.

La via Bonatti-Vaucher sulla parete nord della Punta Whymper alle Grandes Jorasses (fonte: helias-millerioux.fr)

Nella notte un frastuono fragoroso sveglia Bonatti e Vaucher. È una frana, una frana enorme, che scavalca i due alpinisti ma li ricopre di polvere. Salire su un tratto di parete franato diventa ora impresa ben più complessa, e pericolosa. Infatti, una volta ripresa l'ascensione, il disgelo provoca un'altra scarica di pietre a pochi metri dai due alpinisti. Bonatti viene anche colpito anche da un sasso in piena fronte. Un brutto colpo, che richiede tempo per riprendersi e per i medicamenti. Il secondo bivacco, all'ombra di una parete franata e dopo una giornata decisamente complicata, quasi priva di progressi, con l'aggiunta di una bufera di neve, non è certamente dei più sereni.

Da La Stampa dell'11 agosto 1964

Scalare il giorno successive alla bufera vuol dire districarsi tra camini completamente ricoperti di neve e innalzarsi lungo strapiombi in cui il ghiaccio la fa da padrone. Le possibilità di assicurarsi sono pochissime, Bonatti e Vaucher devono ricorrere a soluzioni fantasiose per ovviare al problema, come lo stesso Bonatti racconta ne I giorni grandi: "l'assicurazione con i chiodi diventa talmente precaria che a volte non riusciamo ad ancorarci al termine dei diciotto metri di fune: allora il secondo di noi, invece di rimanere fermo in assicurazione come vuole la regola, si muove anche lui verso l'alto, per consentire al primo di utilizzare qualche metro di corda in più."

Bonatti e Vaucher acclamati al termine della loro impresa (fonte: supertopo.com)

L'ultimo bivacco in parete è anch'esso non meno tormentato. La temperatura si abbassa fino a -15°C e Bonatti perde il suo sacco da bivacco, caduto nel vuoto. Ci sono ancora duecento metri di salita, che vengono superati con fatica, con un utilizzo spasmodico di chiodi. I due lentamente salgono, salgono. La parete diventa vetta, il sacrificio di quattro giorni diventa vittoria. Una delle poche nord rimasta inviolata, che Bonatti definì "l'ultimo baluardo di un grande alpinismo tradizionale" cede alla forza e alla forza di volontà di Bonatti e Vaucher.

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