Quando pensi di aver sofferto abbastanza, ci si sbaglia: oggi ne ho avuto l'ennesima prova. Doveva essere la tappa più lunga, forse anche la più dura. Lunga è stata lunga, dura anche. Infinita, eterna, massacrante. I numeri registrati dal mio orologio GPS parlano chiaro: quasi 2000 metri di dislivello verticale (sia in salita che in discesa), distribuiti su quasi 33 chilometri di percorso totali. In realtà non sono proprio trentatre, capirete perché. Un passo alla volta però, proprio come faccio io lungo i sentieri di montagna.
Nubi scure si addensano sulla Val Popena Alta |
La partenza dal rifugio Vallandro nasce sotto i migliori auspici, clima caldo e soleggiato. Con lo spettacolo del Cristallo a salutare un nuovo giorno di trekking. La prima parte del percorso prevede subito una salita, alla Sella di Monte Specie, circa duecento metri sopra il rifugio. Qui inizia un lungo percorso intriso di storia, e di tragedia: sono numerose le strutture belliche risalenti alla Grande Guerra, così come le lapidi dedicate a battaglioni e generali. Senza alcuna differenza tra le fazioni in conflitto, alla fine i morti non hanno nazionalità.
Dalla Sella di Monte Specie inizia una lunga ma suggestiva discesa fino alla Val di Landro, che dà il nome all'omonimo lago (già incontrato salendo a Dobbiaco via bus). Spazio per un po' di relax a gambe e piedi, la strada procede in falsopiano per più ore, anche su tratti asfaltati. Intanto, il cielo inizia ad annuvolarsi. Ma non abbastanza per impedirmi di ammirare ancora una volta lo spettacolo delle Tre Cime di Lavaredo, e dal versante nord, quello più suggestivo e carico di fascino. Le nuvole sono però sufficienti a scaricare un piccolo acquazzone mentre mi trovo all'imbocco della Val Popena Alta, passaggio chiave dell'intera tappa: in alternativa, asfalto (e molto meno panorama) fino al Passo Tre Croci.
Postumi della Grande Guerra |
La Val Popena Alta è uno scrigno di sorprese. Il sentiero che la risale si sviluppa inizialmente sui detriti di un (presumo) vecchio torrente. E benedico i segnavia biancorossi, difficile orientarsi in quel cumulo di pietre, alternate a isole in cui i baranci fanno la parte del leone. Fortuna che poi la valle si trasforma come per magia in un dolce pendio erboso attorniato dalle Pale di Misurina a est e dal Cristallino di Misurina ad ovest, che permette di tirare un po' il fiato.
In cima al Monte Specie... |
La Valle Popena Alta rivela tutta la varietà della roccia dolomitica. Si prendano ad esempio due punte: la Croda di Pausa Marza e la Pala Sud-Ovest di Misurina. La prima sembra inizialmente uno sperone conficcato nell'erba della vallata, poi un dente affilatissimo, per finire come una "misera" cima a contorno del gruppo del Cristallo. La seconda invece sembra dapprima far parte di una catena a est della Valle Popena Alta, ma ben presto si rivela una cima dalle forme inaspettatamente verticali.
Sempre impressionanti, da ovunque le si vedano... |
Il bello viene dopo lo scollinamento della Sella Popena. La discesa è su ghiaione, un classico dolomitico che mi ricorda tanto il sentiero Flaibani del Monte Pelmo. Confidente nei segnavia, seguo costantemente le tracce rosse o biancorosse, per poi accorgermi, dopo mezz'ora di discesa, che qualcosa non va per il verso giusto. Il sentiero punta improvvisamente ad est, verso Misurina e il suo lago, invece di puntare direttamente verso il Passo Tre Croci. Consulto la mappa e mi accorgo che il sentiero intrapreso è un altro. Possibile? Eppure è l'unico segnato. Nessun dramma, penso. In fondo potrebbe anche esser una soluzione migliore scendere a Misurina invece di tornare indietro alla ricerca di un sentiero probabilmente non segnato. Certo, ma quanto allungo? I tragitti su asfalto non accorciano la fatica...
La Corda di Pausa Marza domina la Val Popena Alta |
Scendo dunque a Misurina (seconda volta in meno di 40 giorni), accolto dalla maestosità della Cima Ovest e della Cima Grande di Lavaredo. Giunto sulla provinciale, mi adopero alla ricerca di qualcuno che mi conceda un passaggio fino al Passo Tre Croci. Autostop sia, dunque. Ne passano di vetture, spesso "griffate", ma non mi aspetto che sia l'opulenza di una Jaguar a darmi una mano (o come sarebbe meglio dire, due gambe). Trovo invece conforto da una bizzarra coppia di Lignano su una Jeep (sarà che Jeep è il main sponsor della Juventus?... io voglio credere di si), che abbreviano fino al Passo Tre Croci, al ritmo di musica country, il mio percorso di fatica e sudore. Anche se non leggeranno, lì voglio caldamente ringraziare per il piccolo ed onesto ma importante sostegno che hanno voluto concedermi.
Si cammina laddove i soldati hanno scritto la storia... |
I problemi non vengono mai da soli, dunque arriva anche la pioggia a mettere i bastoni tra le ruote. E stavolta non è l'acquazzone pomeridiano tipico dell'ambiente montano, questa è pioggia dura. Non è mai stato un diluvio, tant'è che non ho neanche indossato il poncho, ma è stata una precipitazione sufficiente a rendere infinito l'arrivo al Vandelli. Eterno: quello che sulla mappa sembrava una gita tranquilla si è rivelata un lungo trasferimento tra i boschi prima e su cengia dopo. Già: Passo Tre Croci a 1805 metri, Rifugio Vandelli a 1926 metri. Una salita di cento metri, cosa vuoi mai che sia. Altrochè, è un saliscendi continuo, anche con tratti ripidi. Sotto la pioggia e con l'incessante bisogno di risposta alla domanda: "Quand'è che si inizia a vedere il rifugio?". Arriverà, alla fine, dopo ben più di un'ora e mezza di cammino preventivato da me. È il prezzo da pagare per questa tappa senza fine.
La stretta Valle Chiara (Helltal), prima discesa di tappa |
Il collo fa male, le spalle pure. Ma c'è la gioia e la soddisfazione di avere superato uno degli ostacoli più duri dell'intera Alta Via. E c'è il calore del Rifugio Vandelli ad aspettarmi, nonché il calore umano dello staff del rifugio per un lieto trascorrere di serata. Senza tralasciare la parte più importante, un pasto sostanzioso, caldo e rifocillante. E un bicchierino di grappa, quello tira su il morale che è un piacere!
Ora le Forcelle del Ciadin, forse il punto più temuto da me. È il punto più alto dell'intera Alta Via n.3, quello più esposto a nord e quindi, il più soggetto alla presenza di neve. Non temete, c'è in serbo un percorso alternativo in caso di maltempo o di troppa neve. La pellaccia mi serve ancora (e non solo a me), statene pur certi!
Buonanotte a tutti (che ce n'è bisogno)!
Stefano
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